martedì 3 gennaio 2012

MYANMAR L’atto di clemenza del governo di Naypyidaw non soddisfa nessuno

Attivisti dei diritti umani, opposizione e familiari dei detenuti politici e di coscienza sono rimasti molto delusi dal provvedimento del presidente. E’ prevista una riduzione delle pene, ma sembra che nessuno tornerà libero. Ci si aspettava una reale amnistia.

Yangon (AsiaNews/Agenzie) – Il presidente del Myanmar Thein Sein ha firmato un ordine di clemenza nei confronti dei detenuti per festeggiare il 64mo anniversario dell’indipendenza del Paese, ma di portata molto più limitata rispetto quanto ci si attendeva. Attivisti per i diritti umani, il partito di opposizione e i familiari delle persone in prigione hanno espresso disappunto e frustrazione per le speranze deluse dal provvedimento del governo. Fra l’altro, non è ancora chiaro quante persone verranno interessate dal gesto di clemenza. Nyan Win, portavoce per la Lega nazionale per la democrazia, il partito di Aung San Suu Kyi ha detto di non sapere se i membri del partito in prigione saranno rilasciati. “Noi speravamo in una reale amnistia”, ha dichiarato.

In base al provvedimento, le sentenze di morte saranno commutate in ergastolo; quelle sopra i 30 anni, ridotte a 30 anni; quelle fra i 20 e i 30 anni, portate a 20 anni e le sentenze inferiori ridotte di un quarto della pena. Ma i dissidenti dal profilo politico più alto, come quelli implicati nella rivolta studentesca del 1998, soppressa con la violenza, stanno scontando sentenze di decenni dietro le sbarre, e quindi sembra che ci sia poca speranza di una loro liberazione immediata. Aung Khaing Min, dell’Associazione di assistenza ai prigionieri politici (Aapp) ha espresso delusion: “Non è un’amnistia, è molto frustrante”. Ha definito l’annuncio “molto caotico”, dal momento che non ha fatto alcuna differenza fra prigionieri politici e criminali comuni, e non sembra coerente con le dichiarazione recenti di alcuni funzionari, che sembravano indicare la liberazione di più prigionieri per crimini di coscienza.

Il nuovo governo del Myanmar, civile di nome, che ha rimpiazzato la Giunta militare al potere da molti anni, ha mostrato segnali di volontà di riforma verso l’opposizione e l’occidente. Nell’ottobre 2011 sono stati liberati circa 200 prigionieri politici; gli attivisti pensano che un numero variabile fra i 500 e i 1500 siano ancora incarcerati per delitti di coscienza. E fra di loro i più noti dissidenti: Gambira, un monaco condannato a 63 anni per il suo ruolo nella protesta del 2007, conosciuta come la “Saffron revolution” perché guidata dai monaci vestiti di giallo, e l’ex studente Min Ko Naing, che sta scontando una pena a 65 anni di carcere.

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