lunedì 11 luglio 2011

INDIA - CINA - TIBET Il difficile rapporto tra India e Cina per il fiume Brahmaputrahttp://www.asianews.it/

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L’India è preoccupata per i progetti cinesi di deviarne le acque. La Cina non ha finora accettato di discutere insieme la questione. Un esperto parla del difficile problema, che può portare a scontri aperti o a una nuova collaborazione.


New Delhi (AsiaNews) – Rimane altra in India la preoccupazione per il progetto cinese di deviare le acque del fiume Brahmaputra, nel suo primo tratto in Tibet ,dove è chiamato Tsangpo. Intanto il governo dell’Assam ha chiesto all'amministrazione centrale indiana (Cp) di affermare in modo chiaro come utilizzare le acque del fiume. Un esperto spiega ad AsiaNews le ragioni del confronto e le vie a una difficile soluzione.

Tarun Gogoi, chief minister dell’Assam, chiede soprattutto che la Cp indichi come usare in modo più efficiente le acque del grande fiume, che da sempre ha causato “inondazioni devastanti ed erosione” delle terre e che sarebbe invece possibile controllare con grandi vantaggi. Gogoi spiega che non è invece troppo preoccupato per i progetti cinesi, perché “esperti mi hanno detto che la deviazione voluta dalla Cina non colpità il Brahmaputra, che quando entra in Assam dal confine cinese ha una portata di 78 milioni di metri cubi d’acqua e quando lascia lo Stato e si unisce al Gange ha una portata di 600 milioni di metri cubi. Grazie ai suoi affluenti, genera più acqua in Assam di quanta ne riceva dalle fonti in Cina”. “Il Cp – aggiunge – sta cercando di stipulare con la Cina un trattato per la spartizione idrica. Io sono convinto che occorra chiarire come usarne le acque”.

Intanto il Comitato dei Segretari degli Stati indiani ha chiesto all’Arunachal Pradesh di progettare come raccogliere l’acqua, nei pressi del confine internazionale, per riaffermare il diritto dell’India sopra il fiume e opporsi al progetto cinese di deviare le acque.

AsiaNews ha sentito sulla questione il reverendo Nishant Irudayadason, della facoltà di Filosofia del Pontificio Istituto di Filosofia e Religione Jnanaa-Deepa Vidyapeeth, a Pune. “Sia la Cina che l’India – ha osservato padre Nishant – hanno un crescente bisogno di acqua. Entrambe le nazioni hanno risorse idriche limitate, il crescente uso dell’acqua nell’agricoltura e nell’industria ha condotto a una disputa per l’acqua. Se l’acqua è insufficiente e la sua mancanza aumenta, questo può ostacolare la crescita dei 2 Paesi. Cina e India, tradizionali esportatori di generi alimentari, potrebbero diventarne grandi importatori, un esito che aumenterebbe la crisi alimentare mondiale. L’India ha più terre agricole della Cina (160,5 milioni di ettari contro 137,1 milioni), ma la gran parte dei maggiori fiumi indiani ha origine in Tibet. Tutti i grandi fiumi dell’Asia nascono dagli altipiani del Tibet, eccetto il Gange”.

“La Cina – prosegue lo studioso – ora progetta di deviare le acque che nascono dall’altopiano tibetano. Questo potrebbe ridurre la portata dei fiumi che poi vanno in India e in altri Paesi vicini. Dighe, canali e sistemi di irrigazione possono diventare un’arma politica. Anche il rifiuto di condividere i dati idrogeologici, che in questo momento hanno importanza cruciale, significa usare l’acqua come arma politica. I progetti unilaterali della Cina sui fiumi transfrontalieri contro gli interessi dei Paesi vicini, soprattutto l’India, potrebbero spingerli a sviluppare le capacità militari per controbilanciare il loro svantaggio in proposito”.

“Inoltre – prosegue il dott. Nishant, autore di vari scritti sulle complesse questioni geo-politiche – la Cina ha costruito dighe sul corso dei fiumi transfrontalieri che nascono in Tibet, mentre il loro fragile ecosistema è già minacciato dal surriscaldamento mondiale. Soltanto il fiume Indo, che va in India e Pakistan, e il Salween che scorre in Myanmar e Thailandia, non sono stati colpiti dai progetti idroelettrici della Cina. Ma le autorità dello Yunnan stanno valutando una diga per impedire che il Salween scorra in una regione soggetta a terremoti. L’India ha chiesto a Pechino di essere trasparente e condividere i propri dati idrogeologici e di non bloccare le acque dei fiumi transfrontalieri. Nel 2007 è stato costituito un meccanismo per la cooperazione e l’azione comune per i dati idrogeologici, ma si è dimostrato del tutto inefficace”.

“L’idea più pericolosa della Cina è proprio la deviazione delle acque del Brahmaputra, che i tibetani chiamano Yarlung Tsangpo e la Cina Yaluzangbu. La Cina non accetta di discutere la sua idea di deviare le acque, cosa che potrebbe creare problemi ambientali agli Stati indiani nordorientali e al Bangladesh. Questo potrebbe scatenare una vera guerra per l’acqua. Un libro del 2005, pubblicato con l’approvazione ufficiale del governo cinese, dal titolo ‘Le acque del Tibet salveranno la Cina’, difende in modo aperto la deviazione del fiume prima del confine indiano. La questione non è se la Cina lo farà, ma quando. Pechino, quando avrà completato i suoi studi di fattibilità, compirà l’opera e la presenterà come fatto compiuto. Ha già individuato dove deviare le acque, dove il Brahmaputra forma il canyon più largo e profondo del mondo, subito prima del confine indiano. La Cina persegue questo progetto per due ragioni: la prima è la realizzazione di dighe come quella delle Tre Gole, che Pechino proclama la maggior opera dopo la Grande Muraglia; la seconda è l’affermazione del potere del presidente Hu Jintao, che per formazione è un ingegnere idraulico e che deve la sua rapida scalata nella gerarchia del Partito Comunista all’applicazione della legge marziale e alla repressione in Tibet nel 1989. Le questioni della costruzione di dighe e di deviazione delle acque hanno creato problemi tra Cina e India quando la Cina ha annesso il Tibet, circa 60 anni fa. Il Tibet è di nuovo importante nei rapporti tra i 2 Stati e può creare una collaborazione, ma solo se la questione dell’acqua sarà trattata con la cooperazione, invece che come conflitto”. (NC)

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