domenica 7 novembre 2010

I messaggi di Padre Piotr Anzulewicz OFMConv (07/11/2010)

L’augurio che la prossima settimana sia illuminata dalla Parola di Dio della 32a domenica del tempo ordinario.

Essa ci svela lo stupendo destino dell’uomo e del cosmo.

«È lui, il Cristo, l’Amore incarnato di Dio,

“per mezzo del quale e in vista del quale tutte le cose sono state create” (Col 1,16), il nostro destino/pienezza/salvezza/beatitudine».

Sia lui a «guidare i nostri cuori» (2 Tes 3,5)

al suo amore divino, infinito, eterno…

32a domenica del tempo ordinario ©

2 Mac 7,1-2.9-14; Sal 16; 2 Ts 2,16-3,5; Lc 20,27-38

7 novembre 2010

Amare veramente

per vivere eternamente

La Parola di Dio della 32a domenica del tempo ordinario ci svela lo stupendo destino dell’uomo e del cosmo. È lui, il Cristo, l’Amore incarnato di Dio, «per mezzo del quale e in vista del quale tutte le cose sono state create» (Col 1,16), il nostro destino/pienezza/salvezza/beatitudine.

È lui, l’onnipotente Amore umanato, morto e risorto, che ci fa passare dalla morte alla vita d’amore in pienezza. è anche l’amore umano, innestato o impiantato nell’assoluto dell’Amore divino, che ci fa passare di pasqua in pasqua, di risurrezione in risurrezione, fino alla pasqua/risurrezione di Cristo, Uomo divino. Sotto ogni nostra esperienza d’amore fermenta e traspare un oltre, l’assoluto e l’eterno dell’Amore. Per questo «amare un essere – ricordiamo con Gabriel Marcel († 1973), pensatore e scrittore francese – significa dire: “Tu non morirai”». E la voce «amore» si scompone in a-mors, la negazione della morte. «L’amore è vita e la vita è amore» – afferma Sabino Palumbieri (n. 1934), filosofo e teologo, promotore di una nuova forma popolare relativa alla risurrezione di Cristo, la Via Lucis.

«L’amour c’est tout» (L’amore è tutto) è la conclusione di s. Teresa di Lisieux († 1897), mistica francese, che così sigla la sua esistenza non facile, ma felice come traduzione del principio di sapienza biblica, evidenziato soprattutto da s. Giovanni († 98/99), apostolo ed evangelista: «Noi siamo fermamente convinti di essere passati dalla morte alla vita, perché amiamo» (1 Gv 3,14). Pertanto viviamo per amare veramente e amiamo per vivere pienamente. E, così, ci prepariamo a vivere eternamente, oltre la frontiera della morte, nell’aldilà eterno.

La verità della vita eterna, duratura e perenne, è al centro della liturgia di oggi.

La prima lettura dal secondo Libro dei Maccabei (7,1-2.9-14) ci riporta le testimonianze eroiche che i sette fratelli e la loro madre professarono circa la vita eterna e la risurrezione dei corpi. Essi, per essere coerenti con la loro fede, vanno incontro alla morte, coscienti che la loro vita non ha fine con la distruzione del corpo. È la credenza di una vita oltre la vita – credenza che comincia dalla preistoria. «Si pensi – ci dice Julien Ries (n. 1920), sacerdote belga, storico delle religioni e esperto di antropologia del sacro – alle incisioni rupestri di 40 mila anni fa, nel paleolitico superiore. E le prime tombe che abbiamo trovato, risalenti a 5 mila anni fa, mostrano che i viventi si prendono cura dei defunti e credono che essi vivano».

In perfetta sintonia con Ries è Yves Coppens (n. 1934), il più celebre paleoantropologo vivente, che nel 1974 scoprì in Dancalia lo scheletro di Lucy (la nostra antenata più remota): «L’uomo come lo conosciamo inizia con la manifestazione del sacro e della religiosità». Col tempo egli capisce che dentro di sé c’è una sorgente profonda. E in quella sorgente c’è Dio. A volte riesce a raggiungerla e a volte la lascia ricoperta da pietre e sabbia. E Dio rimane sepolto. Bisogna allora dissotterrarlo ed avere anche il coraggio di pronunciare il suo nome, farsi spingere da lui a terra e in ginocchio intrattenere con lui un dialogo intessuto di parole intime. Forse così potremo di questi tempi salvare l’unica cosa che veramente conti: «il pezzetto di immortalità che ci portiamo dentro» e «anche contribuire a disseppellirlo dai cuori devastati di altri uomini» (E. Hillesum).

Il brano evangelico (Lc 20,27-38) spazza via la domanda-trabocchetto dei sadducei, beffarda e grottesca: «La donna, alla risurrezione, di chi sarà moglie?» (v. 33). Secondo loro l’immortalità dell’anima e la risurrezione sono tutte panzane e frottole. Chiara e tonda è la risposta di Gesù: la vita eterna non è un prolungamento o una riedizione della vita terrestre, con i suoi piaceri e voluttà. I vincoli che ci accomunano qui sono solo il “simbolo” della realtà futura. «Dio non è Dio dei morti – aggiunge –, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui» (v. 38). Ciò significa che tutti i morti da millenni «vivono da qualche parte», appartengono a lui e lui appartiene a loro. Se non ci fosse una vita al di là di quella terrestre, il «Dio dei viventi» regnerebbe su un planetario «cimitero di morti».

In faccia a noi sta il «Dio dei viventi», non la morte. Essa è alle spalle. In faccia a noi sta la vita in pienezza/pienezza di vita, luminosa e vera. Solo con tale ottica è possibile dare speranza alla nostra esistenza, lottare per la salute e la sofferenza, le angustie e le precarietà, promuovere iniziative di pace, giustizia e solidarietà, e diffondere tale «morale della responsabilità» (H. Jonas) che ci insegni a sentirci custodi e difensori dei nostri simili.

La Parola di Dio di questa domenica ci sprona allora a vivere l’attesa della vita eterna con l’impegno di amorizzarci (P. Teilhard de Chardin) e di rinnovarci, senza procrastinare e senza ritardare, senza invocare «più tempo per noi stessi» e senza attendere l’ultimo secondo. «Quello che sappiamo per certo è che l’amore umano non è ancora arrivato al termine della sua carriera. Rinnovarsi è una sua caratteristica, come anche […] non credere mai alla fine e alle catastrofi, dare, insomma, a ogni crisi totale, l’avvenenza di un’aurora e di una nuova partenza nella pace e nella promessa» (J. Guitton). A nulla gioveranno i «piaceri della vita», il benessere materiale, le rappresentazioni grottesche e tragicomiche di un Halloween tutto consumistico, a suon di petardi, a mezzo di mascherate, dal gusto necrofilo. Il santo, non il gaudente, ha il futuro eterno, in Cristo, Uomo divino.

Ecco la nostra preghiera al Cristo che tanto ci ha amati, fino alla morte di croce, ed è risorto, primo tra gli umani:

O Gesù, Figlio divino, apri i nostri cuori alla speranza che la nostra vita umana si spalancherà sull’infinito eterno del tuo Amore, dopo i nostri passi difficili, e insieme meravigliosi, sui sentieri della Terra. Rinforzaci nella certezza che, oltre il varco della morte, ci attendono coloro che ci hanno amato e noi abbiamo amato e conosciuto, e conosceremo nelle are celesti, luoghi, dimensioni di vita eterna che ora riusciamo solo a immaginare, ma sentiamo reali, vere, fiduciosi nella tua parola. Amen

Piotr Anzulewicz OFMConv

panzulewicz@live.it

Spirit of truth and love, abide in us.

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