Ombre e luci sulla Cambogia.
Ecco l'Indocina più vera
di Marco Barbonaglia
29 ottobre 2009
Cambogia. Ancora oggi il nome del piccolo regno indocinese ha il potere di evocare i fantasmi di un passato terribile. Guerra, orrore, massacri. E' tuttora vivo il ricordo dei Khmer Rossi capaci, in poco più di un triennio, di trasformare il dolce paesaggio dalle verdissime pianure costellate di palme in una distesa senza fine di fosse comuni.
A che cos'altro si pensa quando si parla della Cambogia? Al turismo sessuale, per esempio. Anche nella sua forma più spregevole, quella legata agli abusi sui minori. Una triste fama che il Paese condivide con la vicina Thailandia. Al punto che se dici a qualcuno di voler partire per quest'area, non è raro doverne sopportare i sorrisini o le allusioni, come se i bordelli fossero l'unica vera attrattiva della regione.
Ma l'Indocina non è solo questo. Certo, esiste un traffico di esseri umani che dovrebbe suscitare repulsione invece di far sorridere e di spingere a darsi di gomito. E la pedofilia, da queste parti, è una disgustosa realtà. Le ombre dei Khmer Rossi, poi, si allungano ancora su questa fragile società. Tutto vero. La Cambogia è anche questo, eppure non finisce qui.
Come nel simbolo orientale del tao, il Paese completa lo yin con lo yang, le ombre con la luce. E' cupo e solare, nasconde un'anima felice e giocosa sotto le ferite profonde di una storia tragica. Popolato dai discendenti di un'antica e straordinaria civiltà era conosciuto, un tempo, come la terra della gentilezza e del sorriso. Corruzione e soprusi quotidiani sono oggi una parte della realtà quanto lo è la voglia di ricominciare e di ritrovare l'armonia di una volta.
Le foreste pluviali incontaminate, le pianure coperte dalla rigogliosa vegetazione tropicale, l'eccezionale varietà delle specie animali. Anche questo fa parte della Cambogia. La magia dei templi Khmer di Angkor si accompagna ad una spiritualità profonda ancora radicata nella gente. E le eleganti pagode, che sp/8untano un po' ovunque, non sono che il segno esteriore del fortissimo legame dei Khmer con l'antica tradizione buddhista.
Nel viaggio che sto per iniziare voglio cercare le varie anime dei questa terra. Scoprirne la bellezza e le speranze, ripercorrere le tracce dell'incubo messo in piedi trent'anni fa da Pol Pot con il quale ancora oggi, mentre il processo ai leader superstiti si trascina stanco e quasi farsesco, non si riesce a fare i conti. Osservare il corso maestoso del Mekong nel quale nuotano gli ultimi delfini d'acqua dolce del pianeta, l'affascinante splendore della giungla, i ritmi di un mondo che segue ancora regole millenarie, dettate da una religiosità rinata delle ceneri della furia devastatrice dei Khmer Rossi.
A questo Paese mi avvicinerò poco alla volta, percorrendo in treno i 250 chilometri che separano Bangkok da Aranyaprathet, per attraversare a piedi il confine più famoso, quello di Poipet. Da qui proseguirò fino a Siem Reap, anticamera dei misteriosi templi di Angkor. Quindi viaggerò fino a Phnom Penh, seguendo il corso del Tonle Sap. Poi invertirò la rotta per risalire fino a Kompong Chhnang, fuori dai circuiti turistici, sulle rive del più grande lago del sud-est asiatico, dove incontrerò lo staff dell'Ong italiana Cesvi. Infine andrò a Sihanoukville, città simbolo della nuova vocazione vacanziera della nazione e tristemente famosa come capitale mondiale della pedofilia, per poi seguire tutta la costa fino a Krong Koh Kong e riattraversare il confine con la Thailandia tra Cham Yeam e Hat Lek.
In fondo, al di là dei miei progetti e di ciò che mi aspetto di incontrare, prenderò soprattutto quello che la Cambogia mi vorrà offrire. Così accade sempre quando si viaggia. Dopo tutto qualcuno sostiene che pur avendo al suo interno una delle più grandi meraviglie del mondo, nel sito di Angkor, il vero tesoro del Paese sia la gente che lo abita…
29 ottobre 2009
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