domenica 23 dicembre 2007

Un veneziano sul Gramna


GINO DONE’ PARO
UN PARTIGIANO VENEZIANO TRA I PRIMI 82 RIVOLUZIONARI A BORDO DEL BATTELLO "GRANMA" (CON FIDEL, RAUL, CAMILO E CHE GUEVARA)
NEL 1956. Nella notte buia e tempestosa, tra il 24 ed il 25 novembre 1956, dal porto fluviale alla foce del Rio Tuxpan nel Messico, 82 uomini partirono su una bagnarola e sbarcarono a Cuba. Era una nottataccia, pioggia battente e mare mosso. La capitaneria di porto aveva proibito la navigazione. Ma già si era in ritardo sui tempi e si rischiava di saltare appoggi e coordinamento con la struttura della resistenza a Cuba, il Movimento del 26 Luglio. Insomma quella notte dovevano assolutamente salpare, anche per il rischio che venissero scoperti dagli agenti di Batista. Quell’imbarcazione si chiamava “Granma”, abbreviazione di “grandmother” incisa dal proprietario che aveva un debole per la sua nonna. Iniziò così la Revoluciòn cubana, con un atto di sfida contro ogni logica dei rapporti di forza, delle condizioni avverse, persino delle leggi della fisica riguardo l’ammassarsi di corpi stipati su un motoscafo sgangherato che ne poteva trasportare comodamente una decina e scomodamente non più di venti per una traversata di otto giorni con mare infuriato. Fu un’impresa azzardata che è entrata nella storia e che iniziò da Tuxpan, città del Veracruz. La notte che Fidel Castro ed Ernesto Che Guevara diedero inizio alla rivoluzione, tra quegli 82 uomini c’era anche chi parlava veneto, l’italiano Gino Donè, “italiano e cubano, così cubano che sarei pronto a ricominciare tutto daccapo ora”. Gino sull’isola vi era arrivato nel 1950 da marinaio. A Cuba s’innamora e sposa Olga Turino, esponente del Partito ortodosso, conosce le gesta di Josè Martì e si confronta con gli universitari dell’Alma Mater. Incontra poi Castro. “Fidel si era informato sul mio conto. Mi disse....tu ci puoi essere utile...sappiamo che sei stato un combattente”. Accettò per amore di Olga, per istinto o per lucida scelta politica? “Forse per tutte e tre le cose, non so. La verità è che sono un curioso di istinto zingaresco. E poi in Italia mi ero già battuto contro i fascisti. A Cuba ho provato le stesse sensazioni”. Castro gli affida la preparazione militare delle reclute. Tra i ribelli radunati in Messico incontra un ragazzo “Ernesto, si chiamava....quello che sarebbe diventato il Chè. Militarmente era un disastro, ma aveva passione e sete di giustizia”. Allo sbarco del 2 dicembre, non lontano dalla città di Manzanillo, li attendevano 40 mila soldati del dittatore Batista. “Lì è morta la metà dell’equipaggio”. I sopravvissuti procedono verso l’interno, tra le mangrovie della palude, distanziati l’uno dall’altro, fino alle pendici della Sierra. “Quando ci siamo ritrovati, abbiamo fatto l’appello. Fidel urla...il Chè non è qui.... Si era fermato, vittima di una crisi d’asma”. Gino era il tenente della retroguardia, toccava a lui tornare. “L’ho trovato nel fango, a cinque chilometri. Il Chè mi disse....non pensare di mettermi sulle spalle....perchè sulle spalle mi ci metterai solo quando sarò morto. L’ho preso per un braccio, ed insieme siamo tornati al campo”. Gino Donè ha oggi 85 anni. Nato a Passarella S. Donà di Piave, non ancora ventenne si unì ai partigiani e combattè i nazifascisti nelle paludi tra Caorle e Jesolo. Nel dopoguerra emigrò in cerca di lavoro a Cuba, dove fece il muratore, il ferraiolo, il decoratore, finchè entrò in contatto con gli ambienti dell’opposizione alla dittatura di Batista e cominciò a fare la spola con il Messico portando dollari cuciti nelle fodere dei vestiti per comprare le armi a quelli del Granma. Ad un certo punto Fidel lo volle con sè a bordo. In pratica era l’unico ad avere combattuto davvero contro un esercito di occupazione. Inoltre era diventato amico del Chè; e Gino continua ancora oggi a chiamarlo Ernesto. Poi lo sbarco disastroso, il 2 dicembre, in una palude. Tre giorni dopo, gli 82 sono nella piantagione di canna da zucchero di Alegrìa de Pìo, nome beffardo per un massacro. L’esercito di Batista, che li aspettava in agguato, attacca con l’appoggio di aerei e carri blindati. Molti cadono tra quelle canne, gli altri si disperdono, alcuni verranno successivamente catturati, torturati e finiti con un colpo alla nuca. Quando i sopravvissuti si ritrovano, si accorgono che il Chè è rimasto indietro. Gino torna a cercarlo, e lo trova che arranca con mitra, lanciagranate in spalla e cassetta di medicinali, in pieno attacco d’asma. Quindi Gino prende il comando di un gruppo di sette uomini, riesce a portarli sulle montagne, perde i contatti con Fidel, raggiunge Santa Clara e si unisce alla resistenza clandestina, finchè, braccato dalla polizia di Batista, si imbarca e gira per il mondo come marinaio di mercantili. Adesso che è tornato a vivere nel suo Veneto, si reca spesso all’Avana per le celebrazioni di “quelli del Granma”. E nella casa-museo sul fiume a Tuxpan, dedicata agli “82 expedicionarios”, indica ai messicani la sua foto tessera: “quello lì sono io” dice. E nient’altro, perchè Gino è sempre stato uomo di poche parole..

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