venerdì 21 dicembre 2007

Il Capitano Scalzo



Polo Torres, il Capitan Descalzo del Che


Nel mio viaggio a Cuba, nel marzo scorso, ho conosciuto il Capitan Descalzo del Che, Polo Torres, un uomo che la Rivoluzione l'ha fatta, e che oggi vive ricordandola con la semplicità di cui solo i grandi uomini sono capaci. Il Capitan Descalzo vive a San Antonio, una frazione del municipio di Manzanillo, con la moglie Juana, anche lei protagonista della Revolución. La casa di Polo e Juana, la Mesa, fu uno dei primi accampamenti dei rivoluzionari sulla Sierra Maestra: Polo la regalò al Che ed ai suoi guerrilleros quando si unì al gruppo, diventandone la guida. Era il "Capitan Descalzo" perchè non usava mai le scarpe: essendo contadino non era abituato a portarle. Dopo il trionfo della Revolución, fu invitato a La Habana per far parte del nuovo governo: dopo poco chiese di tornare a casa per rivedere la famiglia e, una volta arrivato, nel vedere i suoi campi e la sua gente, comprese che mai sarebbe riuscito ad abituarsi alla vita caotica della città. Così si tolse le scarpe (costretto a mettersi in città) per tornare alle vecchie abitudini. Questo episodio è significativo per capire la sua personalità semplice, schiva, di uomo che non ama la fama ed il suo fragore. Siamo arrivati alla fattoria che Polo ha avuto in regalo come riconoscimento dei suoi meriti patriottici, io e mia moglie Natalina, dopo un viaggio un po' avventuroso e siamo stati accolti come due amici venuti da lontano, anche se eravamo degli sconosciuti. Polo è un uomo minuto, timido, con degli occhi che rivelano una innata bontà e un sorriso disarmante. Davanti all'immancabile "refresco" non è stato avaro di ricordi: sentirlo raccontare episodi grandi e piccoli, alcuni conosciuti dai più, altri meno noti, come la storia della "cagarella", risultato della troppa generosità di Juana nel preparare il pranzo a chi non era più abituato a mangiare così tanto e così bene, e finita con un rimprovero del Che:"Sei un sabotatore!" È stato la guida del Che e dei suoi compagni durante il periodo sulla Sierra e, quando chiese di combattere, il Che gli disse di no: lui era molto più prezioso come guida, data la sua perfetta conoscenza di tutti gli anfratti e dei nascondigli della zona. Polo parla e racconta con freschezza e partecipazione, come se il tempo non fosse trascorso. I suoi occhi diventano lucidi di commozione quando narra del brutto giorno in cui qualcuno arrivò a casa sua per dirgli: "Hanno ammazzato il tuo Comandante". È emozionante incontrare un uomo capace ancora di stupirsi dell'interesse suscitato dai suoi racconti, come se ritenesse la sua vita non degna di essere ricordata. Per lui, raccontare, rivivere, e soprattutto sapere che la sua vita suscita interesse, è motivo ulteriore per sentirsi "vivo". Rigorosamente a piedi nudi, ci ha portato a visitare la finca, mostrandoci con orgoglio il frutto del suo lavoro: gli animali, capre e maiali, gli alberi di mango, di "platanos", le papaie, offrendoci quello che la natura offre a lui ed alla sua gente. Per andare a Manzanillo, piuttosto lontano dalla finca, ha noleggiato un carro con tanto di cavallo! Insieme a lui e ai nipoti abbiamo scoperto una piccola cittadina della provincia di Granma tranquilla, gradevole, sonnolenta, del tutto priva di turisti, e, forse proprio per questo, ancora tipicamente "cubana con un bel Malecón (lungomare) e una deliziosa "Glorieta" moresca, un gazebo per l'orchestra, nella piazza centrale. Siamo stati ospiti della famiglia di Polo per il pranzo. Unico neo: non siamo riusciti ad andare alla Mesa, dove Polo e Juana vivevano, dove hanno incontrato il Che, quel luogo che è poi diventato la prima base d'appoggio dei rivoluzionari nella Sierra Maestra. Non è stato possibile per la mancanza di un camion che ci portasse nelle vicinanze, ma la promessa e l'impegno sono precisi: andremo la possima volta. Oggi il grande desiderio di Polo è vedere restaurata la Mesa, e far sì che non si perda la memoria di coloro che hanno reso possibile il realizzarsi di quel sogno. Abbiamo visto le foto, prese da giornali dell'epoca che ritraggono la Mesa com'era allora e Tuto Almeyda che, per dirla con le sue parole: "fue él que dió el material para el techo" (è stato il compagno che diede il materiale per costruire il tetto), per trasformare il luogo in ospedale per i combattenti e per i prigionieri: "il Che curava i nemici", ci ricorda, "e in seguito li liberava perchè potessero raccontare che i guerrilleros non uccidevano inutilmente e non cercavano la vendetta"
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1 commento:

Michele ha detto...

quante emozioni suscitate solo dalla lettura del tuo racconto...grazie per la condivisione dei tuoi piccoli, grandi viaggi ;-)

irene