Nel fine settimana a Mandalay migliaia di
religiosi in piazza con la popolazione, per manifestare solidarietà al
capo di Stato. Egli ha proposto la cacciata della minoranza musulmana,
perché “non è parte” della nazione birmana. Esperto ad AsiaNews: fronte
unito fra popolo, monaci e presidente contro i Rohingya, nel timore di
una lotta separatista musulmana.
Yangon
(AsiaNews) - La popolazione è "solidale" coi monaci e col presidente
Thein Sein, che ha lanciato nei giorni scorsi una controversa proposta
intesa a deportare la minoranza musulmana Rohingya al di fuori del
confini del Myanmar. È quanto afferma ad AsiaNews un esperto di
politica birmana, secondo cui si è trattato di "manifestazioni di
natura pacifica, che intendono però sottolineare un concetto chiaro: i
monaci e la gente non vogliono i Rohingya" e non intendono aderire alle
direttive delle Nazioni Unite che invitano il governo a promuovere
programmi di accoglienza e iniziative volte a favorire l'integrazione
della minoranza, protagonista di violenti scontri nei mesi scorsi con la
maggioranza buddista nello Stato di Rakhine. "Siamo davanti
a manifestazioni spontanee - aggiunge lo studioso dietro garanzia di
anonimato - che i monaci potrebbero continuare per i prossimi 10 giorni,
per mostrare solidarietà al presidente".
Almeno 5mila monaci buddisti birmani hanno aderito alla marcia di
protesta - autorizzata da funzionari e polizia - che si è tenuta il 2
settembre per le vie di Mandalay (nella foto), seconda città
per importanza del Myanmar. I religiosi hanno sfilato assieme alla
popolazione, per sostenere la controversa proposta di Thein Sein
all'agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr) che chiede la "deportazione" di
centinaia di migliaia di musulmani Rohingya dai centri di accoglienza a
nazioni estere, perché "non fanno parte della nazione birmana".
Le marce sono proseguite ieri e oggi e rappresentano la più grande
manifestazione di piazza dalla Rivoluzione zafferano del settembre 2007,
anch'essa guidata dai monaci birmani - iniziata come protesta per il
caro-carburante - e repressa nel sangue dalla giunta militare allora al
potere. L'adesione dei leader buddisti alle dimostrazioni ha un
significato enorme a livello politico e sociale: il mondo buddista
sostiene la scelta del presidente ed è vicino alla protesta popolare.
Pur vivendo da generazioni in Myanmar, per la minoranza musulmana
Rohingya si prospetta un "intensificazione" della politica repressiva
del governo centrale e il rischio di nuove violenze confessionali. Come
riferisce il sito Radio Free Asia (Rfa) fra gli slogan più
gettonati dai manifestanti in piazza il 2 settembre, il grido "Che il
mondo sappia, che i Rohingya non sono parte dei gruppi etnici che
compongono il Myanmar".
Interpellato da AsiaNews, un esperto di politica birmana
spiega che la minoranza musulmana è malvista perché considerata
"violenta" e portatrice di una "cultura e tradizioni diverse, che non si
integrano". Per lo Stato di Rakhine, continua lo studioso, il rischio è
che si "trasformi in una Thailandia del sud, teatro di attentati e di
violenze a sfondo separatista". "I bambini musulmani - aggiunge - non
imparano la lingua nazionale, pretendono un diverso curriculum di studi e
hanno difficoltà di integrazione e comunicazione" col mondo birmano e
buddista. Le proteste, avverte la fonte, sono destinate a continuare e
godono del sostegno della maggioranza della popolazione.
A giugno la Corte distrettuale di Kyaukphyu, nello Stato di Rakhine ha condannato a morte tre musulmani, ritenuti responsabili dello stupro e dell'uccisione a fine maggio di Thida Htwe,
giovane buddista Arakanese, all'origine dei violenti scontri
interconfessionali fra musulmani e buddisti. Nei giorni seguenti, una
folla inferocita ha accusato alcuni musulmani uccidendone 10, del tutto
estranei al fatto di sangue. La spirale di odio ha causato la morte di
altre 29 persone, di cui 16 musulmani e 13 buddisti. Secondo le fonti
ufficiali sono andate in fiamme almeno 2600 abitazioni, mentre centinaia
i profughi Rohingya hanno cercato rifugio all'estero.
Il Myanmar, composto da oltre 135 etnie, ha avuto sempre difficoltà a
farle convivere e in passato la giunta militare ha usato il pugno di
ferro contro i più riottosi. I musulmani in Myanmar costituiscono circa
il 4% su una popolazione di 60 milioni di persone. Secondo l'Onu, nel
Paese vi sono 750mila Rohingya, concentrati in maggioranza nello Stato
di Rakhine. Un altro milione o più sono dispersi in altre nazioni:
Bangladesh, Thailandia, Malaysia.
Nessun commento:
Posta un commento