
In base alla shari’a (legge coranica), una corte saudita ha condannato gli otto lavoratori migranti ad essere decapitati con una sciabola, in pubblico. Nel 2007, gli uomini avevano rubato in un magazzino e ucciso la guardia di sicurezza, l’egiziano Hussein Saeed Mohammed Abdulkhaleq. In casi del genere, l’Arabia Saudita non ha l’obbligo di informare l’ambasciata delle vittime prima di confermare la pena. Inoltre, le salme dei giustiziati non possono essere trasferite nel Paese d’origine per la sepoltura.
Mizanur Rahman, presidente della Commissione nazionale bangladeshi per i diritti umani, ha dichiarato: “La decapitazione pubblica dei nostri compatrioti ha traumatizzato la popolazione. Le esecuzioni vanno contro lo spirito delle leggi internazionali sui diritti umani, secondo le quali nessuna pena dovrebbe violare la dignità umana”.
Secondo Adilur Rahaman Khan, segretario dell’organizzazione umanitaria Odhikar (“Diritti”), “il governo di Dhaka e l’ambasciata hanno fallito nel proteggere i loro cittadini, dimostrando la debolezza della propria politica estera”.
Molto critica anche Sultana Kamal, direttore esecutivo di un’altra organizzazione, la Ain O Salish Kendra: “Non ci sono parole per condannare l’esecuzione degli otto giustiziati. È un atto barbaro e orribile, un crimine contro l’umanità. Mi domando perché nessuno abbia informato le Nazioni Unite o altre eminenti organizzazioni per i diritti umani di quanto stava accadendo”.
Più di due milioni di bengalesi lavorano in Arabia Saudita. Le otto decapitazioni hanno portato a 58 il numero totale di esecuzioni nel Paese solo nel 2011, il doppio dell’anno scorso.
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