
Durante la manifestazione, la Nobel per la pace ha ricordato che la diga causerà lo spostamento forzato di 12mila persone, che al momento vivono in 63 diversi villaggi. Insieme all’opposizione, anche membri delle minoranze, ambientalisti, leader cattolici e cristiani birmani hanno aderito alla campagna di protesta contro il mega-progetto voluto da Pechino e Naypyidaw. La centrale di Myitsone sarebbe fonte di “danni irreparabili” all’ecosistema lungo il corso del più importante fiume birmano, l’Irrawaddy. Inoltre, la gran parte di energia elettrica prodotta alimenterebbe le imprese cinesi oltreconfine, mentre solo una piccola parte è destinata al consumo interno per la popolazione birmana.
Un funzionario del parlamento ha chiarito il contenuto del “messaggio” inviato da Thein Sein alla camera bassa, composto di dieci punti. Uno di questi affermava che “la costruzione della diga sull’Irrawaddy sarà accantonata per tutta la durata dell’attuale governo”. Fra le motivazioni, il fatto che la diga è “contraria alla volontà popolare”. Secondo alcuni commentatori, la decisione del presidente rappresenta una “vittoria di Aung San Suu Kyi”, che molto si è spesa per interrompere il progetto. Essa, inoltre, contrastando gli interessi di Pechino nell’area, costituisce un “raro passo contro la Cina”, che resta sempre il principale partner commerciale e il difensore della giunta a livello internazionale.
Intanto continua il lavoro diplomatico fra Stati Uniti e Myanmar, dopo anni di gelo nei rapporti, unito a sanzioni economiche e commerciali. Ieri a Washington si è tenuto un incontro ufficiale fra Wunna Maung Lwin, ministro birmano degli Esteri, e alti funzionari del Dipartimento di Stato Usa. Rilanciando la richiesta di maggiore democrazia e rispetto dei diritti umani in Myanmar, il governo statunitense apprezza i “recenti sviluppi” e conferma la politica del “binario doppio” con Naypyidaw, che mira a un impegno politico comune, pur mantenendo – per ora – le sanzioni.
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