mercoledì 23 marzo 2011

Ricomincio da Bali (18 anni dopo...) di Bnx

Diciott’anni costituiscono un periodo di tempo rilevante sotto vari aspetti, ma per noi, in particolare, rappresentano in questo caso soprattutto un ragguardevole arco temporale in cui, partendo proprio dal quel fatidico 1991, abbiamo viaggiato ogni anno ininterrottamente attorno al mondo.
Maturità del viaggiatore dunque raggiunta?
No, non credo.
Non c’è una sola volta in cui non apprendo qualcosa di nuovo in un viaggio, ed ogni qualvolta ritorno in un paese già visitato, mi accorgo di comprenderlo inevitabilmente sempre meno, seppellendo sotto un mare di dubbi le labili certezze precedentemente acquisite.

Ho sempre pensato in cuor mio di tornare a Bali, in virtù probabilmente del motivo che quell’isola indonesiana ha rappresentato il mio primo grande viaggio intercontinentale, e che fedele quindi al romantico lato più velato del mio spigoloso carattere, non ho saputo in cuor mio mai scordare quell’amore nato a prima vista, tant’è che quest’anno, complice forse questa metaforica maggiore età compiuta, ho ceduto alla lusinga del suo vecchio richiamo, simboleggiando quasi la chiusura di un ipotetico ciclo ed un conseguente nuovo inizio del viaggiare.

Ricomincio quindi da Bali, ma Bali saprà ancora sorprendermi e farmi innamorare come un tempo?

Difficile dirlo, poiché sull’isola, che trovammo già all’epoca della nostra precedente visita abbastanza sviluppata turisticamente, pesano inevitabilmente gli anni legati ad un sostanziale cambiamento del mondo turistico, con un relativo conseguente incremento dei flussi legati ai visitatori, sebbene gli stessi siano stati purtroppo anche altalenanti, a causa soprattutto della barbaria umana sfociata nei vili attentati che hanno mietuto numerose vittime.

I primi discutibili segnali legati alla globalizzazione li riscontriamo al sud, dove soggiorniamo i primi due giorni. Qui il traffico è una costante, e non tanto a Sanur, ancora parzialmente tranquilla e vivibile, dove però stona principalmente la discutibile presenza di un McDonald's, ma in particolare nella congestionata Kuta, in cui il traffico può risultare in determinati orari anche maggiormente snervante rispetto a quello delle nostre principali metropoli.

Sanur, nel giorno dell’indipendenza indonesiana ci accoglie in festa, ed il tratto di spiaggia ubicato nella parte sud è pieno di famigliole indonesiane intente a bagnarsi, ed a consumare cibarie varie che cuociono nelle tante bancarelle presenti. Ovviamente, in questo contesto, la nostra passeggiata lungo la stradina lastricata che delimita la lunga spiaggia non può che risultare in maggior misura interessante.

Visitiamo al tramonto l’Ulu Watu, uno dei templi direzionali dell’isola. Qui, in un paesaggio caratterizzato da un’alta scogliera a picco su un tratto di mare particolarmente impetuoso, i numerosi macachi balinesi, assoluti protagonisti di questo luogo di culto, sono particolarmente aggressivi, ed ho visto con i miei occhi rubare un paio di cappelli ai

Immagine
Immagine

malcapitati di turno, oltre ad esser stato testimone ravvicinato di un aggressione in piena regola, con la scimmia che si cala all’improvviso da un albero, sferra un colpo micidiale sulla schiena del malcapitato turista di passaggio, e torna indisturbata nella macchia, probabilmente compiaciuta della sua bravata. Lo spettacolo di danze Kekak, ad uso e consumo turistico risulta comunque suggestivo ed affascinante, mentre la successiva cena sulla spiaggia della non distante Jimbaran, per quanto indubbiamente luculliana, risente probabilmente nei prezzi della cospicua affluenza turistica che il posto ormai da anni riscontra.

Immagine


L’indomani si parte in direzione nord per un tour privato che ho personalmente organizzato. Oltre all’economico mezzo e relativo autista, ho voluto anche una guida per provare a comprendere maggiormente gli usi e costumi locali, e le duecentomila rupie (14 euro circa) giornaliere spese per il simpaticissimo Digha, come vedremo, saranno ampiamente ripagate. Come esperienza insegna (in diciotto anni, oltre ad essere un pochino invecchiati, abbiamo probabilmente imparato qualcosa), mettiamo subito in chiaro che non ci interessano stop forzati nei numerosissimi negozi di souvenir disseminati nell’isola, ma vogliamo vedere Bali e conoscere la sua gente. Così, in effetti, sarà.

Attraversando di buon mattino Denpasar, congestionata al massimo dal traffico, restiamo colpiti dalla nutrita presenza di ristoranti che presentano l’insegna R.W. Due lettere apparentemente insignificanti, che potrebbero quasi identificare un’ipotetica catena, ma che in realtà indicano che in quei locali viene cucinata carne di cane. Sì, proprio cane, servito preferibilmente sotto forma di satay, ovvero spiedini arrostiti sulla carbonella, oppure stufato con il curry. Qui, malgrado la vicinanza con i celeberrimi luoghi deputati alle vacanze del sud, si è già lontani anni luce dagli stessi, ed i giovani balinesi, credendo nelle doti afrodisiache dei poveri fido macellati, affollano i ristoranti RW prima di andare nei locali bordelli.

Visitiamo nell’ordine il Pura Luhur Batukaru, altro tempio direzionale tra i più importanti dell’isola,

Immagine

le spettacolari risaie a terrazza di Jatiluwih,


Immagine

Bedegul, il lago Bratan e l’annesso Pura Ulun Danu Bratan, ennesimo tempio direzionale tra i più fotografati di Bali. Ovunque si paga qualsiasi cosa, biglietti d’ingresso, parei, sciarpe da legare in vita, addirittura un pedaggio per accedere a Jatiluwih. Ovunque, in questi templi, si respira però anche una grande spiritualità, ed una devozione fuori dal comune, che culmina in vari tipi di offerte dappertutto onnipresenti. I balinesi sono religiosissimi, ed anche convinti che le loro innumerevoli preghiere li proteggano dalle catastrofi naturali che periodicamente dilaniano altri luoghi indonesiani. Solo contro la follia umana, a loro dire, le preghiere servono a poco, mentre secondo il loro credo caratterizzato da una religione indu-animista, possono invece molto nei confronti della natura e delle forze che la contraddistinguono. La religione sembra pervadere dunque l’esistenza stessa dei balinesi, i quali però, in particolare nei luoghi ad alto afflusso turistico, appaiono particolarmente inclini anche e soprattutto nei confronti del denaro e non esitano pertanto a far pagare al turista di turno anche l’aria che respira.

Il nostro tragitto si snoda attraverso i paesaggi montani dei laghi Buyan e Tambligan, con sosta presso le Munduk Waterfall e pernottamento finale nella località di Lovina, caratterizzata da una vulcanica sabbia nera e lambita da un mare calmo e pulito. Qui i turisti solo relativamente pochi, per la maggior parte composti da famigliole di nazionalità tedesca, ma soprattutto da appassionati di diving. Infatti, a detta di molti, nella vicina località di Pemuteran e sull’isola di Menjangan, si trovano in assoluto i migliori spot subacquei dell’isola.
Sua maestà il delfino. Una sua statua si erge imperiosa all’ingresso di Lovina, ed alle sei in punto, poco prima del sorgere del sole, in molti, noi compresi, siamo già a bordo delle caratteristiche barche a bilanciere con l’unico scopo di avvistare questi simpatici animali, autentica attrattiva del posto. Due ore in cui la stessa Valentina, letteralmente entusiasta di vedere i delfini, inizia a dare segni d’insofferenza, e la sopraggiunta noia la induce a chiedermi se possiamo tornare indietro. Giornata negativa a quanto pare, mentre il mare, liscio come l’olio, pullula di barche e di turisti. Poi, all’improvviso, Mr. Dolphin salta fuori tre volte di seguito ad appena due o tre metri dalla nostra barca. Valentina lo chiamerà “Nerina”, e per la sua felicità possiamo terminare questa gita che avrei francamente evitato.

Partiamo quindi in direzione delle Git Git Waterfall, che raggiungiamo dopo aver attraversato Singaraja, l’antica capitale.

L’itinerario prevede quindi di passare attraverso Kintamani per ridiscendere verso sudest alla volta del Pura Besakih, il tempio principale dell’isola e per far questo tagliamo all’interno, lungo una tortuosa stradina di montagna poco battuta, che si snoda attraverso varie coltivazioni di fragole e tipici villaggi rurali. Qui accade l’imprevisto, la classica ciliegina sulla torta che tanto auspicavo di assaporare. Raggiungiamo infatti lungo il percorso un intero villaggio raccolto in festa nel tempio locale, e chiedo all’autista se può arrestare il mezzo per consentirci di effettuare una breve sosta. E’ in corso una cerimonia molto importante quale l’ordinazione di un nuovo sacerdote, facoltà riservata alla sola casta dei bramini. Nessuno qui parla inglese, e da soli avremmo potuto ben poco. Digha chiede al capo villaggio se possiamo accedere nel tempio, e dopo un cortese cenno di consenso ci ritroviamo catapultati in una realtà inimmaginabile, costituita da centinaia di persone vestite a festa, con decorati e ricamati abiti bianchi. Viaggiando a Bali, e visitando in particolar modo i principali templi, si ha sovente l’occasione di assistere a determinate cerimonie, ma questa è particolare, essendo una sfarzosa cerimonia privata in cui un esponente del villaggio sarà ordinato sacerdote, localmente chiamata “Mediksa”, e ristretta agli abitanti di una piccola località sperduta nella parte settentrionale dell’isola. C’è grande partecipazione, ed una coinvolgente aria di festa. Le donne indossano gli abiti ed i gioielli delle grandi occasioni, ed in molte hanno qualche chicco di riso attaccato sulla fronte.
Mi accodo alla fila presente presso un sontuoso banchetto, facendomi servire degli spaghetti di riso e del piccantissimo maiale stufato, ma beccandomi per questo un cazziatone da Patrizia: “Sei il solito sfacciato, è maleducazione, non li conosciamo”. Boh, sarà pure, ma io ho fame, e nessuno sembra essersi scandalizzato perché mi sono riempito il piatto. Difatti il capo villaggio si avvicina con aria cortese e riferendosi a Patrizia e Valentina pronuncia qualche incomprensibile parola con un sorriso, che Digha si appresta a tradurre per noi:”servitevi, vi prego, siete i benvenuti”. Ci sediamo tra questa gente, mangiamo, beviamo e trascorriamo assieme a loro diverso tempo. Non riusciamo a comunicare, ma sembra comunque esserci tra noi una complicità nutrita da gesti spontanei e reciproci sorrisi. Ci sentiamo sì osservati, diversi, ma anche in qualche modo accettati come ospiti. Vorrei tanto scattare delle foto, ma sarebbe come tradire queste persone che ci hanno accolto nell’intimità della loro comunità. Siamo e resteremo sempre turisti, tra l’altro probabilmente assai buffi ai loro occhi, ma in questo istante ci sembra di essere parte di loro, e non vogliamo rovinare questo magico momento. Solo durante la danza Topeng, ripresa anche da loro con una videocamera, ne approfitto e scatto alcune foto alle maschere, immortalando per sempre anche parte del pubblico, ovvero quella stessa gente con cui abbiamo trascorso degli indimenticabili momenti che, per quella che è la mia personale filosofia, valgono da soli un viaggio.

Immagine


Presso i bei templi del Pura Besakih, il luogo di culto più importante di Bali,

Immagine
troviamo nel tardo pomeriggio un’altra cerimonia, nella quale decine e decine di persone sfilano celebrando la cremazione di un membro della comunità morto diverso tempo prima, ma precedentemente sepolto come spesso accade quando le finanze scarseggiano, perché il rito della cremazione viene onorato con una festa molto costosa che si protrae per diversi giorni, ed alla quale vengono invitati tutti gli amici e parenti, ospitandoli con interminabili banchetti.
Immagine

Immagine


Congedati Digha ed autista, trascorriamo i quattro giorni finali del nostro soggiorno balinese ad Ubud, cittadina ricca di cultura, la quale ha ospitato in passato vari artisti, ed offre innumerevoli alloggi per tutte le tasche, oltre ad annoverare vari eventi culturali, celebri manifestazioni teatrali, diversi centri artigianali nelle immediate vicinanze, ed eccellenti ristoranti. Il centro appare abbastanza congestionato e la vita si snoda nelle immediate vicinanze dell’Ubud Palace e dell’attiguo grosso mercato turistico, ma ci aggireremo da queste parti solo per pranzare e cenare, mentre godremo appieno della fenomenale locazione della struttura dove abbiamo scelto di pernottare, presso il villaggio rurale di Nyuhkuning, a sud di Ubud. Otto camere ubicate in piccole costruzioni dalla tipica architettura balinese, un servizio impeccabile, ed una stanza immensa dotata di gigantesca veranda che si affaccia direttamente sulle sottostanti risaie che si estendono a perdita d’occhio, dove al mattino viene servita la colazione.

Immagine

Un senso di pace assoluto. Uno di quei posti dove mi trasferirei personalmente per settimane intere, centellinando il tempo da trascorrere con una nutrita scorta di libri e compiendo innumerevoli passeggiate nei luoghi limitrofi, così come del resto in effetti facciamo durante questi giorni, prendendoci il tempo che occorre senza l’assillo di dover necessariamente visitare qualcosa, ed uscendo al mattino senza una meta precisa, passeggiando nel cuore delle piccole comunità locali e tra le verdissime risaie circostanti, con l’unico impegno di trovarci prima delle quattordici nel centro di Ubud, prima che termini l’ultimo Babi Guling del warung Ibu Oka. L’abbiamo assaggiato il primo giorno, ed è diventato come una droga. Presso l’Ibu Oka, uno spartanissimo locale alla buona, vengono arrostiti e divorati dagli avventori ogni giorno sei maiali interi, ed il Babi Guling, la cui consistenza e sapore ricordano molto la nostra porchetta, è un piatto tradizionale dell’isola, spesso consumato anche durante le più importanti cerimonie. Il maiale in questione, farcito di peperoncino, curcuma, zenzero ed altre spezie, viene arrostito su uno spiedo girevole e spennellato continuamente con olio di cocco, il quale rende rossastra e croccante la sua cotenna, oltre che così tenera da sciogliersi quasi in bocca. E’ sovente difficile trovar posto nel warung in questione, letteralmente preso d’assalto quotidianamente da locali e turisti attratti dalla sua fama, pertanto l’attesa è da mettere in preventivo, ma sarà ampiamente ripagata dal piatto “spesial”, comprendente oltre che squisite fette di maiale, anche la suddetta cotenna, riso bianco, ciccioli e salsiccia di sanguinaccio.
Immagine

Immagine


Contrattando un’economica corsa con uno dei tanti autisti che stazionano nei pressi dell’Ubud Palace, si possono facilmente visitare alcuni luoghi limitrofi degni di particolare menzione, quali le sorgenti sacre di Tirta Empul,

Immagine
i suggestivi dieci candi commemorativi di Gunung Kawi, la Goa Gajah, la grotta dell’elefante. Quest’ultima, nello specifico, ci ricordava propriamente Bali, grazie ad una foto che abbiamo incorniciato in casa, nella quale siamo stati immortalati davanti al suo ingresso, e ci desta particolare emozione affiancarla a quella scattata di recente assieme a Valentina, quasi a raffigurare lo scorrere del tempo ed il ciclo della vita.
Immagine


Però, come precedentemente scritto, i nostri principali ricordi dettati ad Ubud sono costituiti dalle passeggiate tra le risaie, e da quei piacevoli momenti trascorsi lontano da tutto, contraddistinti dalla completa assenza di turisti. I sorrisi dei tanti bambini incontranti, quel silenzio irreale, gli innumerevoli tempietti dedicati a Dewi Sri, la dea del riso, le donne che trasportano sulla testa grandi ceste colme di frutta, le grandi distese di riso esposto ad essiccare, il cenno di saluto dei contadini, la spontaneità di Aiman, uno di questi che si è offerto un giorno di accompagnarci, facendoci visitare posti che da soli non avremmo mai trovato, la visita alla sua casa ed alla sua famiglia, il tè allo zenzero offertoci dalla moglie.
Immagine


Bali, malgrado le contraddizioni tipiche delle mete turistiche, il delirio presente nel suo sud, l’inevitabile processo di globalizzazione a cui è sottoposta, è anche e soprattutto questo, e riesce comunque a conservare una specifica identità legata alle proprie tradizioni ed al suo territorio.

All’inizio del viaggio mi ero domandato se Bali avesse saputo ancora sorprendermi e farmi innamorare come un tempo.

Oggi conosco quella risposta.

Bnx

Nessun commento: