giovedì 18 novembre 2010

INDIA : Arcipelago Laccadive: Le Maldive di 50 anni fa


Un’ora e mezzo d’aereo dall'India. Poi un’altra ora e mezzo di barca a motore. Niente telefono, tv e giornali. Un unico albergo degno di questo nome, con pochi posti. Di giorno si nuota in un mare trasparente. Di sera si cena sotto le stelle sulla spiaggia. Ecco l’ultimo paradiso.

Longitudine est 71-74°, latitudine nord 8 e 12-30°, 200 miglia dalla costa orientale dell’India. Sono le coordinate dell’ultimo paradiso per pochi, forse le prossime Maldive: acqua e fondali da sogno, spiagge abbaglianti. Ma la vita è quella semplice delle Maldive di qualche decennio fa, quando vi approdavano solo novelli Robinson innamorati del mare. È l’arcipelago di Lakshadweep, Laccadive per gli italiani, ossia per il 60 per cento dei viaggiatori che, in fuga da luoghi troppo noti e affollati, si avventurano fra questi 12 atolli del Mar Arabico dove gli alberi di cocco (milioni) sono più numerosi degli esseri umani (60 mila). Le vacanze dei grandi numeri qui sono impensabili: su 36 isole, dieci sono abitate, due aperte agli stranieri, ma soltanto una, Bangaram, ha un albergo dagli standard occidentali. Non c’è altro oltre a tre reef, cinque banks (terre emerse) e isolotti di sabbia che appaiono e scompaiono come una fata morgana con i capricci delle correnti. Celebrities approdate qui? Charles Darwin. Ricchezze? Palme e pesca. Unica traccia della storia, la leggenda di un remoto naufragio di pellegrini, spiaggiati proprio a Bangaram e che, ritrovata la rotta per la costa del Malabar, svelarono la posizione delle nuove isole. Attirando nel XVI secolo l’interesse e il dominio dei portoghesi che poi furono cacciati (e avvelenati) a furor di popolo per aver imposto una tassa esosa sull’importazione del riso. Mentre gli inglesi vi rimasero dal XVIII secolo fino all’Indipendenza indiana. Ma nessun colonizzatore, mercante, navigatore, missionario indù, musulmano o cristiano ha mai costruito templi o palazzi degni di nota. Neppure nella capitale, sull’isola di Kavaratti. All’aeroporto di Agatti Island una volta al giorno (mai di domenica, e solo dieci chili di bagaglio a testa) atterra l’aeroplanino da 14 posti dell’Indian Airlines, che in un’ora e mezzo collega l’arcipelago con il resto del mondo, cioè la città di Cochin. E si è a metà del viaggio. Ancora un’ora e mezzo, di navigazione, con la barca a motore del Bangaram Island Resort. Ed è un’esperienza piacevole, già estraniante, scivolare su un mare sempre caldo (26-28 °C), talvolta cristallino, talvolta smeraldo o azzurro puro che riverbera palmeti e fondali. Si approda sul lato est di Bangaram; spiaggia candida, i 30 bungalow essenziali del resort, una laguna coronata dal reef e dalle tre isolette Thinnakara e Parali 1 e 2. Questi fazzoletti di sabbia e palme con qualche capanna – abitazioni temporanee dei proprietari delle piantagioni che vengono solo per la raccolta dei cocchi e del coir, la fibra sfilata dai gusci – sono meta di escursioni con le barche dell’hotel. Una navigazione di 15 minuti con lance a motore, dhow di legno, canoe. Thinnakara ha una bella spiaggia, ma, per il gioco di venti, correnti nel pass, monsoni (giugno-settembre), sulla punta meridionale si depositano le alghe. Gli scenari marini più belli delle Parali sono lungo le anse e i bassi fondali del lato sudoccidentale; mentre il versante orientale è il migliore per nuotare e fare snorkeling con la possibilità di incontri ravvicinati con tartarughe, razze, pesci pappagallo. Il resort organizza anche battute di pesca a barracuda e tonni, bottino che poi va consegnato al cuoco. E c’è un centro diving con tutta l’attrezzatura: è impossibile, infatti, portarsi mute e pinne quando sull’aereo il peso del bagaglio è limitato. Ma non serve una grande valigia: abiti informali per la cena, costume e pareo di giorno. L’importante è assicurarsi i posti sul piccolo aereo: è più sicuro prenotare dall’Italia; ed è anche conveniente .

Bangaram Island è un ecoresort della catena Cghearth che ha trasformato l’amore per la natura e le tradizioni indiane in un imperativo categorico. Il sacro rispetto dell’ecosistema è anche la filosofia del governo locale: è meglio restare cenerentole dei tropici che diventare un parco giochi per turisti. Una delle conseguenze, non proprio positive, di questa rigorosa politica ambientale sono i cavalli di frisia in cemento visibili durante le basse maree, sparpagliati lungo il litorale ovest di Bangaram, come barriera contro gli effetti del monsone estivo. È la costa più spettacolare, dalle acque limpide, perché il mare non è chiuso da isolotti e reef, e per questo esposto all’erosione delle onde. Gli ospiti del resort ricevono un elenco di cose da non fare, dal divieto di sporcare mare e spiagge a quello di raccogliere coralli. Ma sono proibiti anche il nudismo e il consumo di bevande alcoliche fuori dall’hotel, perché gli abitanti dell’arcipelago sono musulmani. Per scelta, non esistono telefoni e aria condizionata, alla televisione si vedono soltanto documentari subacquei; le stanze sono di una semplicità monacale, come il centro ayurvedico, che ha comunque un carnet con 17 tipi di trattamenti.Le barche provenienti dalla costa indiana, con le provviste di cibo e bevande, non portano mai giornali. Gli unici comfort moderni sono l’elettricità, un bar fornito e l’acqua calda. C’è un ristorante, ma nessuno pranza all’interno: meglio all’aperto, tra palme e brezza marina. E, di sera, barbecue di pesce in riva al mare, illuminati dalle torce. Il messaggio è chiaro. È un posto per neo-essenzialisti che staccano davvero la spina. Non si approda in questo scampolo remoto del Mar Arabico per spendere la giornata fra piscina e suite con aria condizionata, ma per vivere il mare e sul mare. L’isola di Bangaram è piccola, due ore per farne il periplo a piedi: 40 kmq, 128 acri di vegetazione tropicale, un anello di acqua e laguna che la circonda per 10 chilometri. E un laghetto naturale dove si abbeverano aironi, cicogne e gabbiani, qualche falco che plana sull’acqua dolce-salmastra. Le spiagge migliori si srotolano sul lato occidentale, inciso da calette di sabbia bianca, le palme a fare ombra e il mare più limpido di tutta l’isola. Una passeggiata di un quarto d’ora attraverso l’interno. Quando cala il sole, questa costa è il palco privilegiato per godersi il tramonto, infinito, lento. Come in tutti i Tropici. Ma da soli.

di Marco Casiraghi - testi e foto tratte da DOVE

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